Logo Comune di Villafranca Tirrena
Comune di 
Villafranca Tirrena
Città metropolitana di Messina 

Dove Trovarci

Via Don Luigi Sturzo, 3, 98049 Villafranca Tirrena ME

Cenni Storici
Anticamente chiamata Bauso, Villafranca Tirrena diventò comune autonomo nel 1825 mantenendo il nome di Bauso fino al 1929, quando cambiò nome nell’attuale Villafranca Tirrena associando i due paesi di Calvaruso e Saponara (quest’ultimo divenuto autonomo nel 1952).
Le prime notizie documentate risalgono al 1271 quando re Carlo d’Angiò assegnò a Pierre Gruyer il feudo Bàusus, precedentemente appartenuto a Enrico de Dissinto. In epoca aragonese il feudo Bauso insieme al vicino Calvaruso appartennero a varie famiglie nobili ( Manna, Gioeni, Giovanni da Taranto) fino ad arrivare al 1399 al tesoriere del Regno Nicolò Castagna, alla morte del quale i feudi andarono in dote alla nipote Pina e per via femminile passarono prima ai Bonifacio e poi ai Ventimiglia, La Grua, Pollicino, Merulla e Spadafora. Nel 1548, la baronia di Bauso, fu acquistata da Giovanni Nicola Cottone. Nel 1590 Stefano Cottone vi fece ricostruire il castello, nel 1591, l’imperatore Filippo II elevò il feudo di Bauso a contea e nel 1623 Filippo IV di Spagna investì Giuseppe Cottone del titolo di principe di Castelnuovo (altro nome del contado di Bauso). Nel Settecento, l’Abate Vito Amico ci informa che il territorio di Bauso era coltivato a frutteti e a gelso. e che l’aria era malsana. Da altri documenti sappiamo che il paese, col suo fondaco situato nell’attuale Piazza Dante, all’epoca Piazza del Fondaco, attivo già nel sec. XVI, era punto di sosta lungo la strada Palermo-Messina. Nel 1819, la terra di Bauso e il castello con l’annesso titolo di principe di Castelnuovo, furono venduti da Carlo Cottone Cedronio a Domenico Marcello Pettini, ex giudice della Gran Corte Civile di Palermo, il quale l’acquisto per 9.000 onze.
Nel 1907 lo storiografo Francesco Nicotra scriveva così nel Dizionario illustrato dei Comuni di Sicilia: «Briosa. Fu questo il nome in antico dato al nostro comune, forse pel sito ridente dove esso nacque, dal quale più tardi fu trasferito presso il maestoso castello dei nuovi signori. Nelle ubertose sue terre e giacenti presso le rive del Mar Tirreno, o sulle amene colline che gli fan corona, si gode la splendida costa settentrionale dell’isola, e di fronte in lontananza, le isole Eolie col Vulcano Stromboli. È Bauso residenza incantevole, resa soggiorno ameno anche dalla deliziosa villa che appartiene agli Ottaviani-Pettini.»

Villafranca Tirrena (Bàusu in siciliano) è un comune italiano di 8.651 abitanti affacciato sul mar Tirreno nella Città metropolitana di Messina in Sicilia.
Il territorio di Villafranca Tirrena confina a Nord con il Mar Tirreno, a sud-est con il comune di Messina, a nord-ovest con il territorio comunale di Saponara.
Il territorio altimetricamente si estende tra la quota 0 e 828 m s.l.m., prevalentemente formato da zone collinari che lasciano spazio in prossimità del litorale, ad una zona pianeggiante sulla quale sorge gran parte del centro urbano. La maggior parte del territorio comunale è utilizzato a colture specializzate (agrumeto, vigneto, uliveto).
Lungo il confine est del territorio corre la fiumara Gallo che divide il comune di Messina con quello di Villafranca. Nella parte ovest del territorio ci sono i torrenti Calvaruso e Santa Caterina; il primo parte dalle colline soprastanti Calvaruso e scende fino al Mar Tirreno, il secondo ha le sorgenti delle colline di Saponara e Calvaruso e sotto il caseggiato di Bausom presso la S.S. confluisce nel primo dando origine ad un unico delta.

Storia
Il comune fu costituito nel 1929 con la fusione tra i comuni di BausoCalvaruso e Saponara Villafranca, a cui furono aggregate anche le frazioni Divieto e Serro del comune di Messina. Tuttavia nel 1952 il comune di Saponara Villafranca tornò autonomo col nome di Saponara.


Monumenti e luoghi d’interesse – Architetture religiose

Chiesa Nostra Signora di Lourdes: è stata finita di costruire nel 1976 e consacrata il 26 giugno dello stesso anno. Sopra la Chiesa (che presenta un aspetto moderno in perfetta armonia con lo spirito di Lourdes), nella parte anteriore, è presente il campanile, diverso dalle classiche torri campanarie in quanto è costituito da una sola campana, fusa dalla fonderia De Poli. Di impronta spiccatamente post-conciliare, è costituita da un’aula semicircolare, in cui occupano una posizione molto ben visibile l’altare, l’ambone ed il fonte battesimale, il cui marmo bianco fa da contrasto alla struttura in cemento armato. Ad arricchire l’interno vi sono le vetrate multicolore realizzate dalla Ditta Favaron di Milano, un portone in ferro e vetro realizzato dall’artigiano villafranchese Vincenzo Pellegrino e l’organo Tamburini, installato nel 1978.

Chiesa di San Gregorio Magno di Villafranca Tirrena

Chiesa Madre

Chiesa Madre San Nicolò di Bari a Villafranca Tirrena

  • Chiesa Madre S. Nicolò di Bari (Castello).[4] La Chiesa Madre dedicata a S. Nicolò di Bari, Santo Patrono di Villafranca Tirrena, fu costruita nell’800, probabilmente sui resti di un edificio ecclesiastico di epoca precedente. All’interno, vi sono una croce dipinta del XVI secolo (attribuita a Mariano Riccio), una Madonna con bambino di bottega Calameccana e due sculture lignee (una della Madonna di Portosalvo e l’altra di San Nicola di Bari, eseguita nel 1859 dal messinese Mollica). Nella chiesa vi è anche una lapide marmorea sulla quale è scolpita una poesia di Felice Bisazza, dedicata a Maria Antonietta Pettini, moglie del Conte Francesco, deceduta nel 1844, all’età di 26 anni. La chiesa di San Nicolò e lo spiazzale antistante costituiscono da secoli lo scenario nel quale si svolge annualmente il “Bamparizzu” del 5 dicembre, un grande falò in onore del Santo Patrono. Scrisse Francesco Nicotra nel 1907:
«È dedicata a S. Nicolò. Si osserva una pregevole croce dipinta, col Crocifisso della Madonna degli angeli, del sec. XVII, d’ignoto autore, e la statua di S. Nicolò, in legno, eseguita nel 1859 dal messinese Mollica.»
(Francesco Nicotra, Dizionario illustrato dei comuni di Sicilia, 1907)
  • Chiesa della Madonna dei Cerei: in collina, nel villaggio Serro è la chiesa parrocchiale dedicata alla Madonna dei Cerei (Candelora). Anche se edificata in tempi recenti, la chiesa ha origini molto antiche che riportano ai Basiliani di Gesso (limitrofo centro collinare del comune di Messina) i cui beni comprendevano anche il territorio di Serro. Interessante è la tela del pittore Andrea Bruno (1658) raffigurante la Madonna con le anime del Purgatorio. Sugli altari sono presenti diverse statue di buona fattura. Grande devozione lega la gente di Serro alla “Candelora” la cui ricorrenza si celebra il 2 febbraio.
  • Chiesa Madonna delle Grazie: una chiesa situata vicino a quella madre, molto antica, tenuta di proprietà da una famiglia del luogo che ne possiede il diritto di patronato da generazioni, è stata ristrutturata una trentina di anni, la ristrutturazione cambiò notevolmente la facciata
  • Chiesa S.Margherita (Calvaruso). Scrive Francesco Nicotra nel 1907:
«Il tempio a tre navate è minacciato dall’alto campanile, che danneggiato recentemente dai terremoti, tende a crollare, perciò si è dovuto abbandonare tutto il cappellone e innalzare a metà della chiesa un altare provvisorio. Ai due lati dell’abside sono due affreschi rappresentanti episodi della vita di Santa Margherita. Di maggior pregio è una tavola di Santa Lucia, collocata nella parte destra del tempio, dipinta da Marco Antonio Veneziano e nella quale vi è l’iscrizione Marco Antonio Venetiano 1582 oc opus fieri fecit Pietrus Mortelliti. Nella cappella del Rosario si conserva anche un’altra pregevole tavola rappresentante la Vergine titolare. Nel tetto l’anno 1761 fu dipinta da Scipio Manni la “Presentazione al Tempio”. Presso l’altare maggiore vi è una moderna e bellissima statua in legno di Santa Margherita, scolpita nel 1871 dall’artista messinese Michele Cangeri
(Francesco Nicotra, Dizionario illustrato dei comuni di Sicilia, 1907)
  • Chiesa Madre di Calvaruso: è suddivisa in tra navate secondo lo stile tardorinascimentale. L’origine della chiesa è da far risalire al 1607, come si rileva sul portale del fianco sinistro, ad opera dei Principi Moncada che l’avevano innalzata in onore della Vergine e Martire Santa Margherita di Antiochia Patrona di Calvaruso. L’edificio fu eretto all’entrata del centro abitato, sulla sponda sinistra del torrente, in un luogo pianeggiante, di facile accesso per i fedeli. I Moncada posero ogni loro impegno, affinché questa loro Chiesa riuscisse un vero gioiello d’arte. Pensarono, tra l’altro, ad arricchire il prospetto romanico, armonico e maestoso, con un bel rosone artisticamente lavorato. Purtroppo tale prezioso motivo ornamentale è andato distrutto unitamente ai dipinti di Scipio Manni del 1761, scomparsi nel rifacimento del sacro edificio danneggiato dal terremoto del 1894 e più ancora del 1908. La chiesa conserva una preziosa tavola di S. Lucia dipinta nel 1582 da Marco Antonio Vernesio detto il Veneziano, e nella quale vi è l’iscrizione: Marco Antonio Vernesius 1582 oc opus fieri fecit Pietrus Morteliti. Nel 1761, nel tetto, fu dipinta da Scipio Manni la Gloria di Maria. Presso l’altare maggiore vi è una bellissima statua in legno di S. Margherita, scolpita nel 1871 dall’artista messinese Michele Cangeri. Opera anch’essa assai pregevole, in puro stile barocco, è l’antico ed elegante pulpito dorato che si ammira tuttora nel posto ove in origine venne collocato, come pure l’altare centrale in marmo del medesimo stile.
  • Chiesa S. Antonio di Padova

Il chiostro dell’Ecce Homo di Calvaruso

Ecce Homo, Santuario di Calvaruso a Villafranca Tirrena

  • Santuario Ecce Homo (Calvaruso). Scrive Francesco Nicotra nel 1907:
«È degna di nota, principalmente, la meravigliosa immagine dell’Ecce Homo, scolpita in legno di cipresso nel 1634 dal frate artista Giovan Francesco Pitornodei padri osservanti detto frate Umile da Petralia. Il simulacro è di molto artistico pregio, benché soverchiamente doloroso di effetto (la statua fu collocata su una base girevole per poter essere osservata da tutti i lati. E poiché nelle sacre funzioni eccitava i pianti degli astanti e per la pietà che desta fu cagione una volta che una donna incinta si sgravò in chiesa, l’Arcivescovo di Messina proibì il giro del simulacro che fu piantato sulla base con un perno di ferro). Sull’altare maggiore è collocata una gran tela rappresentante l’Assunzione della Vergine con in piedi le immagini di San Francesco di Assisi, Santa Chiara, Santa Margherita e Sant’Anna. L’altare medesimo è decorato di una delle solite artistiche custodie intagliate, e intarsiate di madreperla, che trovasi presso gran parte delle chiese francescane. In una delle pareti della chiesa notasi una pregevole piccola tela con l’immagine della Vergine, di qualche valore artistico; ed in una delle cappelle una statua dell’Immacolata. Vi si conservò un tempo un crocifisso di Frate Umile, (che più tardi fu sostituito dall’Ecce Homo), e che oggi, perché allora mal custodito, è ridotto ad un informe masso di legno corroso. Nelle parti del chiostro vi sono dipinti in affresco molti episodi della vita di santi francescani ed alquanti ritratti di frati dell’Ordine, fra i quali è quello di fra Umile nell’atto di scolpire il Cristo, cui sottostà la seguente iscrizione in alcune parti cancellata dal tempo: Il ven. servo di Dio frat. Humile da Petralia sup. scultore clarissimo scolpì in Sicilia… immagini del SS. Crocifisso e tutti oprano miracoli, digiunava scolpendo in pane ed acqua, spargendo continua lagrimazione, meditando l’acerbissima passione, fra le quali fu questo del n.ro SS. Ecce Homo, che conforme accettò D. Cesare Moncada, primo principe di questa terra, havendo tenuta la sera nascostamente la statua tutta tinta eccetto la testa, quale solamente era sbozzata, si prese gran fastidio per haversi da fare la processione, la mattina si vide con gran stupore la testa miracolosamente formata, e…. il fatto…. con lagrime di devozione…. Mori…. miracoli
(Francesco Nicotra, Dizionario illustrato dei comuni di Sicilia, 1907)

Architetture militari

Il castello di Bauso

«”Ascoltate – mi disse – non dimenticate di fare una cosa quando andrete da Palermo a Messina per mare o per terra. Fermatevi al piccolo paese di Bauso, vicino alla punta di Capo Bianco. Di fronte ad un albergo troverete una strada in salita che termina a destra con un piccolo castello a forma di cittadella. Alle mura di quel castello si trovano appese due gabbie: una è vuota, nell’altra biancheggia da vent’anni la testa di un morto. Domandate al primo viandante che incontrerete la storia dell’Uomo a cui appartenne quella testa e avrete uno di quei racconti completi che dipingono tutta una società, dalle montagne alla città, dal contadino al gran Signore….”»
(Alexandre DumasPascal Brunò, 1838)

Castello del Conte: è detto Castelnuovo, e da esso, che è signoreggiante il paese, prese titolo il principato, che nel parlamento generale di Sicilia occupò il XXXI posto. Scrive Francesco Nicotra nel 1907:

«Vi si accede da un lato percorrendo tutta l’amenesissima villa, nella quale i viceré spagnoli solevano riposarsi nei loro viaggi da Palermo a Messina, e dall’altro di fronte l’attuale chiesa madre. Su quest’ultima porta del merlato castello si legge la seguente iscrizione: D.O.M. Arcem hanc fideliss, ad arcendas terra marisq. hostium incursiones Sthephanus Cottonius Bavusj III Dus Comes a fundamentis ferie IX erexit Anno a partu Virg. CIO IO XC.»
(Francesco Nicotra, Dizionario illustrato dei comuni di Sicilia, 1907)
Giardino del Castello
Fu la famiglia dei Pettini ad arricchire l’edificio del Castello di Bauso con rilievi marmorei, busti con ritratti di antenati e con la creazione intorno al castello di un “Giardino all’italiana”. Una passerella collegava direttamente il Castello a un laghetto della villa, nel quale una serie di fontanelle permettevano giochi d’acqua e davano vita alle cascate delle grotte artificiali intitolate ai tre Canti della Divina Commedia: Paradiso, Purgatorio e Inferno.Per la costruzione del Giardino sono state utilizzate pietre di colore diverso e vetri multicolori e al suo interno insistevano opere artistiche di pregio come la “Fontana dei quattro Leoni” attribuita alla bottega dello scultore fiorentino Giovanni Angelo Montorsoli.
La statua lignea dell’Ecce Homo di frate Umile da Petralia.
“A Cabbarusu c’è u Signuri”, questa è una delle espressioni comuni che indicano la fede genuina, schietta e popolare che lega la gente del luogo al Santuario di Gesù Ecce Homo. Intorno alla statua aleggia un mistero che rende ancora più mistico il luogo stesso. La statua in legno del Crocefisso fu commissionata dal Principe Don Cesare Moncada a Frate Umile da Petralia, noto sculture e crocifissista del tempo. Il mistero comincia dalla scelta dell’albero di cipresso dal quale il frate avrebbe dovuto trarre la scultura ma nessun albero sembrava adatto fin quando non comparve, improvvisamente, un cipresso dalle foglie luccicanti e quest’apparizione venne interpretata come un miracolo. Frate Umile aveva, inoltre, delle abitudini particolari, infatti, era solito chiudersi nel suo laboratorio, non permettendo a nessuno di entrare, e prima di cominciare a scolpire soleva sottoporsi a pratiche ascetiche. Egli, infatti, chiese al Principe una stanza del castello nella quale dedicarsi al suo lavoro; dopo un po’ di tempo il Principe chiese come procedeva il lavoro e il Frate rispose che entro poco tempo il Cristo sarebbe stato completato e sarebbe stato possibile, così, portarlo in processione alla chiesa del convento. Passarono pochi giorni e il Frate consegnò al Principe le chiavi della stanza pregandolo di non entrare prima della processione. Il Principe fece questa promessa ma la Principessa, spinta dalla curiosità, convinse il marito a entrare e inesprimibile fu la loro meraviglia quando videro che la statua era tutta rifinita tranne che nel volto, nonostante il Frate avesse loro assicurato che era pronta. Giunta l’ora della processione la stanza fu aperta e i Principi, consapevoli dell’aspetto precedente, furono ora estasiati dal suo volto, come se a ultimarla fossero stati gli angeli. Quale sia il limite tra realtà e leggenda non possiamo dimostrarlo, possiamo solo dire che, di chiunque sia l’opera, il Cristo è ritratto in un contegno regale nonostante le sofferenze inflitte dalla flagellazione e il dolore è ancor più spiritualizzato dall’espressione del volto che racchiude il mistero della resurrezione e della vittoria finale sulla morte.

Abitanti censiti


Tradizioni e folclore

Corteo Storico Festa San Nicola 5 dicembre – L’antica tradizione villafranchese del «Bamparizzu» si ripete il 5 di dicembre alla Vigilia del Patrono San Nicola. La manifestazione ha carattere storico-culturale e prende vita nel pomeriggio quando dei ragazzi in abiti da pescatori cominciano a trascinare a piedi nudi una barca addobbata con fiori e vecchie lanterne facendola scivolare sulle tipiche falanghe in legno per le vie del paese, dalla marina fino a Piazza Castello, questo come segno di buon auspicio e in onore di San Nicola. Dalla Piazza Castello, antistante la Chiesa Madre e il Palazzo Baronale, parte nel frattempo la Corte Principesca, preceduta da alcuni ragazzi in costume da alabardiere ed archibugiere e da cavalieri a cavallo. I pescatori e i nobili si incontrano davanti al Palazzo Municipale, e qui avviene la consegna delle chiavi del Castello di Bauso da parte del Principe ai pescatori come segno di benevolenza e rispetto. Successivamente la corte e i pescatori proseguono insieme il loro cammino fino a raggiungere la piazza Castello dove al loro arrivo si assiste all’accensione del falò.


Cultura

Museo Storia della Medicina di Villafranca Tirrena, Particolare apparecchi elettromedicali – Museo di Storia della Medicina “Ottavio Badessa”: inaugurato nel 2004 dopo una convenzione stipulata fra l’Amministrazione Comunale e il medico Paolo Badessa, è sito in una palazzina in stile liberty di via Rovere. All’interno vi sono collocati circa 200 reperti di alto valore scientifico, databili fra la fine del Settecento e il 1940, in alcune apposite teche[6]. Nella collezione vi sono alcuni oggetti la cui rarità e legata soprattutto alla loro stessa fragilità o deperibilità dei materiali. Per esempio, l’estrattore di calcoli vescicali, in una sua importante parte è costituito da “crini di cavallo” molto appetiti dalle tarme. Per inciso, di tale strumento perfettamente conservato, ne esistono, di cui si sappia, solo due esemplari, uno al Museo del Royal College of Surgeons e l’altro qui a Villafranca. Un altro esempio di materiale deperibile sono i palloni respiratori delle maschere di Ombredanne, che sono ottenuti da vesciche di maiale essiccate. A proposito di tali apparecchi di Ombredanne si fa osservare una peculiarità: nel Museo di Villafranca vi sono quattro di tali apparecchi identici nella concezione tecnica ma diversi nelle fogge perché costruiti in nazioni diverse. È da notare che nei Musei più prestigiosi, hanno al massimo solo due di tali apparecchi[senza fonte]. Un’altra cosa importante da ricordare è che qualunque strumento con manici di avorio, corno o ebano risalgono tutti a prima che nascesse l’idea della sterilità e della disinfezione, quindi nella seconda metà dell’Ottocento.


Geografia antropica
Frazioni del comune di Villafranca Tirrena sono: Divieto, Serro, Calvaruso, Castello e Castelluccio.

Serro

«Terricciolo sotto i colli peloritani, non lungi da Calvaruso, con una chiesa parrocchiale dedicata alla Madonna dei Cerei (candele), è soggetta all’Archimandrita.»
(Vito AmicoDizionario Topografico della Sicilia vol. II1754)

A circa 18 chilometri dal centro di Messina (quindici di Autostrada e tre di strada provinciale) si erge su una collina, a 255 metri sopra il livello del mare, Serro: un villaggio nel Comune di Villafranca Tirrena che conta oggi poco meno di centotrenta abitanti: A chi dalle alture dei Peloritani, sulla strada provinciale che porta al monte Dinnamare, volge lo sguardo verso ponente per ammirare l’azzurro mare Tirreno, non può sfuggire quel gruppo di case. In tempi non molto remoti, la popolazione del villaggio fu numerosa e in gran parte dedita all’agricoltura. Poi numerosi fenomeni contribuirono a ridurla considerevolmente: l’urbanesimo, l’attrazione della città, le esigenze di lavoro.ecc. L’industrializzazione però cambiò il volto della popolazione rimasta: i contadini diventarono lavoratori della gomma, della plastica, delle fibre tessili. In estate il numero degli abitanti raddoppia, numerose le iniziative, soprattutto: sport, teatro, feste popolari. Oggi Serro è diventato un luogo di villeggiatura molto ricercato. Il luogo è tranquillo; l’aria è molto salubre (il clima è ad un tempo collinare e marino). Il calore dell’ospitalità, caratteristico della gente del sud, è per i Serrentini motivo di continua gioia nei rapporti con i visitatori. E la gente viene numerosa. I caratteristici vicoli, le piccole piazze, gli angoli, le persone: tanti colori per i visitatori. Ma non può, chi viene a Serro non sostare nella piazza davanti alla Chiesa. Lo spettacolo è emozionante. Cielo e mare si fondono per avvolgere in un unico velo le coste tirreniche con i promontori di Calavà,Capo Tindari, Milazzo, di Calabria e delle isole Eolie. In quel mare si posa dolcemente ogni sera, il sole dando vita a incomparabili tramonti che lasciano tutti estasiati. Per questo forse Serro è stato da un poeta definito “Una terrazza sul Tirreno” Anche se le origini di Serro sono molto remote, non si hanno documenti che attestano il succedersi dei fatti storici. Quasi certamente il territorio faceva parte delle proprietà ecclesiastiche dell’antica abbazia basiliana di S. Gregorio di Gesso, fondata nel 1063 dal conte Ruggero. In tempi recenti è stato incorporato nel Comune di Messina e dal 1929 con Regio Decreto è stato annesso al Comune di Villafranca Tirrena.
Il paesino si snoda sulla cresta di un colle lungo la via Candelora, dalla quale si dipartono, a destra e a sinistra, le sue stradine strette e tortuose, sulle quali si affacciano balconi fioriti e minuscoli giardinetti verdi, profumati e ben curati.
“Piano Chiesa” dà il benvenuto al visitatore che si inerpica per la strada da Villafranca. In particolari condizioni atmosferiche è possibile scorgere un versante dell’Etna.
La Piazza, “Aria Cola”, probabilmente “aria” voleva significare aia, luogo tipico della cultura contadina, dove le donne, sfruttando la naturale ventilazione del luogo, erano solite “spagghiari” i legumi per separare i semi dalle foglie e dai residui secchi; “zu Cola” era il nome del probabile proprietario del luogo. Dalla Piazza si scorge l’ampio arco dei Monti Peloritani, la Torre di Pizzo Chiarino, Forte Campone, San Martino di Spadafora, Rometta, Capo Milazzo, Capo Calava e le bellissime isole Eolie. Una stele in marmo ricorda i caduti delle due guerre mondiali.
Allontanandosi dalla Piazza si va verso la contrada San Maccati dove, si narra, attorno al 1500 viveva “Zu Riole”, un vecchio saggio e veggente, tenuto in gran considerazione dai suoi compaesani che si rivolgevano a lui per avere indicazioni sulle semine, sulle coltivazioni d’annata alle quali sarebbe stato conveniente dedicarsi. Egli viveva in una capanna costruita con rami di ginestra, lontano dal paese, con la sua saggezza contadina e con la stima e l’affetto dei serrentini.
Si dice che abbia predetto l’invenzione del carro senza cavalli, forse il treno o il camion di altre moderne invenzioni. Ed ancora più distante, nei pressi di una stradina giace una grossa pietra, forse una vecchia macina che abili scalpellini hanno lavorato utilizzando una pietra chiamata “giuliana”; dal vecchio nome della contrada in cui risiede. Essa è da sempre meta obbligata di tante passeggiate.
Il borgo conserva ancora molte caratteristiche di tanti anni fa: alcune case custodiscono gelosamente i blocchi di pietra scolpiti a mano, come colonne e archi di portoni. Molti balconi sono sostenuti da “cagnola” anch’essi in pietra scolpita da locali scalpellini che lavoravano la pietra ricavata dal sottostante torrente per fare anche le macine. Si distinse in questo faticoso mestiere la famiglia Bruno. Nei vicoletti è possibile osservare qualche palmento ancora funzionante dei 15 attivi nel paese, quando la viticoltura era molto attiva, e un frantoio dei tre funzionanti un tempo. Un pozzo, ormai in disuso, fa bella mostra in un angolo antico.
Un’edicola in pietra, al primo piano di una vecchia abitazione, ricorda ancora la devozione di chi vi abitava. Un’altra piazzetta del paese è dedicata alla maestra Giovanna Berlenda che, proveniente dalla provincia di Palermo, si era stabilita a Serro, per svolgere la sua attività di insegnante. Amata e stimata da tutte le famiglie, divenne madrina di battesimo di molti bambini o, comunque, madrina di “fazzoletto” o di “cuffietta”; scrisse le lettere di quelle madri, che avevano i figli lontani e ne lesse le risposte, partecipando con emozione alle loro vicende, anche le più personali ed intime. Condivise con gli abitanti di Serro ogni problema, affrontando con coraggio le conseguenze e pagando di persona, durante il periodo fascista per la questione dell’acqua pubblica.
La chiesa di Serro ha origini molto antiche; probabilmente fu fondata dai Basiliani di Gesso i cui beni comprendevano anche il territorio di Serro che, intorno al 1850, rendeva 4 onze l’anno. L’altare maggiore ha un paliotto in marmo policromo; la parte superiore, dono di alcuni emigranti in America, è in gesso dipinto tipo marmo. Una bella tela del pittore Andrea Bruno del 1658 raffigura la Madonna con le anime del Purgatorio. Sugli altri altari statue di buona fattura sono oggetto della devozione da parte dei parrocchiani.
Il panorama che si ammira dalla piazza della chiesa è mozzafiato: il cielo e il mare si confondono in un unico abbraccio; il sole, al tramonto, dipinge l’orizzonte di mille fantastici colori. Gli abitanti, più numerosi in estate, sembrano un’unica grande famiglia, organizzata nella scansione degli eventi e delle tradizioni che animano la vita ricreativo-culturale della piccola comunità: iniziative di carattere Sportivo, spettacoli teatrali, feste religiose e popolari: tutto nel rispetto e nella valorizzazione di ciò che è stato e che va tramandato con diligenza ai giovani perché conoscano ed amino le loro radici culturali. Nel 2013 su iniziativa della Compagnia di Idee e Cultura ViviSerro, si svolta la prima edizione del Premio Pietra Giuliana d’Oro che con cadenza biennale vuole premiare le eccellenze di ogni genere e tipo che si sono distinte nel territorio. La prima edizione è stata assegnata al Museo della Medicina “Badessa” di Villafranca Tirrena.

Castello

«Bauso vecchio: sulla collina della S.S. Annunziata vi sono ancora i ruderi dell’antica chiesa madre di Bauso distrutta nel 1700, e della quale si conserva il cappellone alquanto diruto. Quindi nel 1586 fu l’antico convento dei minori osservanti, sotto il titolo di S. Maria Annunziata. Si osservano altresì gli avanzi del carcere, i di cui sotterranei ora sono ricolmi di terra. Presso quel sito sorse il casale Altamira, del quale fin dal 1634 furono signori i Cottone, col titolo di marchesado»
(Francesco Nicotra, Dizionario illustrato dei Comuni siciliani, 1907.)

Top